mercoledì 5 luglio 2017

L'arte della ceramica a Porto Torres si chiama Budroni

Se si percorre via Sassari fino al centro, che poi diventa via Vittorio Emanuele II, dirigendosi verso la torre Aragonese, sulla sinistra poco prima della chiesa si può notare un negozio unico per tipologia di merce esposta: le ceramiche.
L'autore di questi gioielli artistici si chiama Fabrizio Budroni.
"La mia è una passione che ha avuto inizio più di trent'anni fa. Ero ragazzo. Ho frequentato l'istituto d'arte dedicandomi alla ceramica. Poi ho iniziato a lavorare, a Muros, presso un ceramista. Il lavoro mi appassionava. Per migliorarmi ho frequentato alcuni corsi in Toscana e in Umbria e così ho iniziato questa bella esperienza."
Fabrizio parla poco, come tutti i sardi preferisce che a parlare per lui siano le sue opere, ispirate ai temi della tradizione della Sardegna quali la pavoncella, senza però disdegnare soggetti più moderni. 
Le figure della tradizione sono spesso rielaborate, rivisitate secondo gusti più moderni.

In negozio c'è Cristian, ad accogliere i clienti e mostrar loro le opere tutte diverse che escono dal laboratorio del fratello maggiore.

Bellissimo il cavallino stilizzato,



Stupendo il polpo nero!


Ogni angolo è un tripudio di oggetti di tutte le forme e di tutti i colori e non è sufficiente un solo giro per distinguerli tutti.


Grazie Fabrizio, per la tua arte.

Appena possibile torneremo a trovarti, magari per frequentare uno dei corsi che organizzi presso il tuo laboratorio.

Alessandro Rugolo e Giusy Schirru

martedì 4 luglio 2017

Giuseppe Brotzu, un sardo contro la malaria

Spesso le guerre più combattute non sono quelle che si svolgono su un campo di battaglia, ma quelle, ignote ai più, volte a far trionfare un'idea o un'intuizione o una ricerca o una scoperta che può portare vantaggi e soluzioni a problemi vitali non solo di un Popolo o di uno Stato, ma del Mondo intero! Abbiamo visto Vincenzo Tiberio e Aldo Castellani, Medici e Militari, alle prese con simili “combattimenti”, ma non furono, ovviamente, i soli a doversi battere sul campo della salute!
Giuseppe Brotzu (Cagliari, 1895 – 1976), si laureò in medicina, mantenendo le tradizioni di famiglia, presso la Regia Università di Cagliari nel 1919. Fu esonerato dal Servizio Militare proprio perché, dotato unicamente della sua competenza professionale, combattesse da subito la battaglia contro una malattia allora devastante: la malaria! Appena laureato, infatti, gli venne affidata la Direzione degli ambulatori antimalarici di Cagliari. Dopo gli studi d'Igiene e la Didattica, prima a Siena e poi a Bologna, nel 1933, tornò a Cagliari e assunse la direzione dell'Istituto di Igiene della Città. Fu Preside della facoltà di Medicina (1935 – 36) e poi Rettore (1936 – 1943). Lasciato l'insegnamento nel 1965 per limiti d'età, continuò a frequentare l'Istituto di Igiene fino a oltre ottant'anni. Nel 1945, dopo anni di studi e di ricerca, arrivò alla scoperta delle cefalosporine.
Alla carriera accademica affiancò quella politica: Assessore Regionale all'Igiene e Sanità (1949 – 1955), Presidente della Regione (1955 -1958) e Sindaco di Cagliari (1960 – 1969).
Costantemente impegnato nel sociale, assunse un ruolo decisivo nella campagna della Fondazione Rockefeller per l'eradicazione della malaria dalla Sardegna. “L'impegno nella lotta alla più antica e subdola malattia nella storia della Sardegna - la malaria - attraversa l'intero arco della vita scientifica, accademica e politico-istituzionale di Giuseppe Brotzu.” Morì a Cagliari l'8 aprile del 1976. A lui è dedicata la struttura sanitaria più importante di Cagliari e della Sardegna.
Brotzu, dal 1920, iniziò la sua ricerca in ambito microbiologico con un'attenta osservazione delle acque del porto di Cagliari, fortemente inquinate dagli scarichi fognari urbani, nelle quali tuttavia molti giovani facevano ogni giorno il bagno senza che si manifestassero episodi singoli o epidemie almeno di infezioni come tifo o paratifo!
Si ipotizzava che, poiché vi erano pessime condizioni sanitarie ma pochissimi casi di infezioni, i sardi, e in particolare i Cagliaritani, godessero di una stranezza immunologica. Se questo per molti studiosi rappresentava un dato inspiegabile, ma di fatto ormai assodato, per Brotzu era una prova evidente della presenza, in quelle acque, di un agente immunizzante. Dimostrò, infatti, che in Città esisteva un'endemia tifica, ma in forma lieve, nota come “infezione eberthiana”, senza che si manifestassero epidemie come accadeva in simili situazioni in Italia. Brotzu e il collaboratore Spanedda, "cultori della ricerca anche in tempo di guerra", iniziarono a raccogliere campioni d'acqua dalla zona orientale del Golfo commerciale di Cagliari, detta “su Siccu”, alla ricerca di “antagonismi batterici”. Inizialmente Brotzu pensò che le condizioni ambientali fossero talmente sfavorevoli per i batteri da inibirne i caratteri patogeni.
I microrganismi contenuti nei campioni prelevati, vennero “seminati su terreno comune e fatti sviluppare a temperatura ambiente... A sviluppo completo le colonie di numerosissimi germi erano state isolate e di ciascuna di esse era stato saggiato il potere antagonistico” verso diversi batteri responsabili di infezioni. “Seguendo questa tecnica assai semplice fu possibile studiare delle centinaia di germi e scegliere tra di essi il micete che fin dai primi isolamenti si mostrò dotato di particolari e spiccate attività inibenti”. In particolare, il 20 luglio 1945 Brotzu e il suo collaboratore Spanedda poterono ammirare “la colonia [di un fungo del genere Cephalosporinium] color ocra con tonalità rosa che inibiva diversi microrganismi tra cui la salmonella typhi.” Nello stesso anno, venne isolata la “micetina Brotzu” che il Professore e il suo collaboratore sperimentarono personalmente per testarne l'efficacia, o la tossicità.
All'inizio del 1947 Brotzu trattò pazienti malati gravemente di tifo che guarirono. "Le condizioni generale di un malato risentono in genere di un miglioramento notevole[...]già dopo le prime due o tre inoculazioni il materiale prelevato è risultato batteriologicamente sterile".
Brotzu inoltrò istanze ai vari Ministeri ed Enti interessati per avere fondi e attrezzature, ma, come spesso avviene in Paesi in cui “il tempo dedicato al lavoro è sottratto alla carriera”, fu completamente ignorato. Su richiesta di Sir Howard Florey dell'Università di Oxford, il ricercatore che aveva prodotto la Penicillina ri-scoperta da Alexander Fleming dopo le intuizioni del nostro Vincenzo Tiberio, Brotzu inviò una sua coltura del Microrganismo antibiotico da lui individuato. Tra il 1951 ed il 1961 vennero isolate e purificate differenti sostanze ad attività antibiotica; tra queste la cefalosporina C, che divenne il capostipite di una nuova generazione di antibiotici. Il brevetto del principio attivo, all'insaputa di Brotzu, venne venduto a due importantissime Industrie farmaceutiche che ottennero con esso enormi profitti. La paternità scientifica dell'antibiotico fu riconosciuta allo scienziato cagliaritano dalla comunità scientifica internazionale solo negli anni settanta!
Non minore fu il suo impegno civile negli anni difficili del dopoguerra e della ricostruzione, quando gli furono affidate le cariche di Sovrintendente sanitario regionale e Presidente degli Ospedali riuniti di Cagliari. Brotzu, già prima che si diffondesse l'uso su larga scala del DDT, cercò di contrastare il bimillenario flagello della malaria, “causa intima del silenzio di tomba che da tanti secoli opprime l'isola” e “bavaglio che ne intralcia l'evoluzione”. Fra tutti i problemi uno ha avuto nella storia della Sardegna un'importanza fondamentale: la malaria. Chi non è sardo e non bene a conoscenza della storia del nostro popolo, non potrà intendere lo stato d'animo e la nostra sensibilità al problema della malaria che ha oppresso, debilitato, piegato il popolo sardo per oltre 2000 anni e gli ha impresso delle stigmate che forse, solo tra qualche generazione, potranno essere cancellate… Il mantenere lontano dalla nostra isola il pericolo della malaria è quindi il primo compito da affrontare… Occorre infatti ricordare che senza salute non vi è benessere e ricchezza in un popolo”.
Brotzu divenne membro dell'Alto Commissariato all'Igiene e Sanità e poté quindi seguire da vicino i primi passi del Sardinian Project, il grandioso esperimento naturale che aveva come obiettivo l'eradicazione della malaria in Sardegna. Fu membro anche dell'Ente Regionale per la Lotta Anti anofelica in Sardegna e collaborò con la Rockefeller Foundation per la riuscita di un “Piano di Rinascita” confortato dagli ottimi risultati conseguiti in USA ed in altri Paesi.
Una volta sconfitta la malaria, nei primi anni cinquanta, da Assessore all'Igiene e alla Sanità Brotzu sostenne l'istituzione del Centro regionale antimalarico e anti-insetti per consolidare i risultati ottenuti attraverso la piccola e media bonifica. “Combattè” anche per la realizzazione di ospedali, poliambulatori, mattatoi igienici, acquedotti per l'approvvigionamento di acqua potabile, zone residenziali idonee anche ad opporsi alle malattie sociali, opere di risanamento e tutela dell'ambiente,…

Enzo Cantarano, Luisa Carini


Bibliografia
  • Abraham, E. P.  The Cephalosporin C Group, in Quarterly Reviews n. 21, 1967
  • Baldry P, The Battle Against Bacteria: A Fresh Look : a History of Man's Fight Against Bacterial Disease with Special Reference to the Development of Antibacterial Drugs, Ed. CUP Archive, 1976
  • Bo G:, G. Brotzu and the discovery of cephalosporins, in Clin Microbiol Infect, 6, 3 pp. 6–9
  • Brotzu G, Osservazioni e ricerche sull'endemia tifica in Cagliari, in L'Igiene moderna, XVI 1923
  • Brotzu G, La malaria nella storia della Sardegna, in "Mediterranea", n°8, 1934, pag. 19
  • Brotzu G, Ricerche su di un nuovo antibiotico, Cagliari, 1948 pag. 3
  • Cantarano E, Carini L. Storia della Medicina e della Assistenza Sanitaria per le Professioni Sanitarie, UniversItalia, 2013, pag. 175.
  • Cornaglia, G To the memory of an angel, in Clinical microbiology and infection, European Society of Clinical Microbiology and Infectious Diseases, Ed. Decker Europe, 1995
  • Del Piano L. (a cura di), Per Giuseppe Brotzu , Edizioni Della Torre, Cagliari, 1998
  • Greenwood D. Antimicrobial Drugs: Chronicle of a twentieth century medical triumph, Ed. Oxford University Press, 2008
  • Landau R, Achilladelis B, Scriabine A, Pharmaceutical Innovation: Revolutionizing Human Health, Ed. Chemical Heritage Foundation, 1999
  • Paracchini R. Il signore delle Cefalosporine. Storia di una scoperta. Demos, Cagliari, 1992.

Gesico: chiesa di Santa Giusta

La chiesa di Santa Giusta, chiesa parrocchiale del comune di Gesico, è una bella chiesa costruita intorno al 1500.
 
Ecco alcune foto scattate pochi giorni fa.


Facciata e campanile



Pala d'altare in legno



Veduta d'insieme

l'altare

Pulpito



San Sebastiano

Sant'Amatore

Crocifisso in legno

L'altare
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Porto Torres nella "Relazione sull'isola di Sardegna" di William Henry Smyth

William Henry Smyth, , Capitain della Royal Army, nel 1828 pubblicò il libro: "Sketch of the present state of the Island of Sardinia" in cui raccoglie e orgnizza tutte le osservazioni dei suoi precedenti viaggi nel Mediterraneo, e in particolare in Sardegna.
Ne risulta un bel libro di viaggi, ricco di informazioni utili ai naviganti ma anche economiche, etnologiche e storiche.
Mi voglio concentrare in questo breve articolo sulle osservazioni riguardanti la città di Porto Torres.
"Porto Torres è un piccolo porto a due moli, difeso da una solida torre ottagonale"

I due moli di quel periodo immagino siano stati inglobati nell'attuale porto, non grandissimo, ma sicuramente più esteso di allora. La torre ottagonale invece è sempre li, anche se risente del passare del tempo.

"Può accogliere poche piccole navi, quelle grandi stanno alla fonda ad un miglio. Poichè le navi da guerra fanno raramente rotta da queste parti, il nostro arrivo fu un evento eccezionale e tutti visitarono la nave, dal capitano generale al contadino più povero. Su un lieve pendio sorgono la chiesa e il piccolo borgo di San Gavino, ai cui abitanti sono riconosciuti i diritti di cittadinanza sassarese in onore a Baingio (San Gavino). Questo santo venerato qui non è conosciuto nel martirologio romano; tuttavia la storia della sua conversione, della sua decapitazione a Balai e della sua apparizione in sogno a Calpurnio è accettata dai sassaresi come una verità indubitabile, senza alcun esame dei dati su cui è fondata."

Oggi la venerazione di San Gavino non è meno forte. Forse la chiesa non è piena come un tempo, ma il nome Gavino è ancora il preferito per i bambini maschi, o perlomeno così sembra passeggiando per le strade del paese.

"La chiesa è uno degli edifici religiosi più antichi della Sardegna, perchè è stata costruita verso il 1200 ed è stata usata come cattedrale fino alla distruzione di Torres nel 1441."

Studiando la storia di Porto Torres su altri testi antichi ho scoperto che la basilica è ben più vecchia, risalendo al 514 d.C., anno in cui il giudice Comida di Torres e Oristano fece costruire la Basilica dedicata ai martiri Gavino, Proto e Gianuario, sul Monte Angellu, a seguito di un sogno in cui gli veniva chiesto di innalzare la cattedrale. 
Della distruzione della città nel 1441 per ora non so ancora niente, sto indagando e spero a breve di scoprire qualcosa!"

"E' diversa dalle altre chiese dello stesso genere in Sardegna, perchè ha il tetto di piombo. Lungo il tetto vi sono settanta brutte torrette dello stesso metallo, che sono il simbolo tradizionale di Turris Lybisonis: nome derivato dal presunto insediamento in questo luogo, dei discendenti di Ercole Libio.
L'interno è sorretto da 28 antiche colonne ed una Porta Santa, da cui passò il santo e che è accuratamente chiusa con un muro di pietre ma per venire aperta ogni cento anni con grande pompa e cerimonia."

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
 

Poesias Sardas, di Giuseppe Pirastru

La terza domenica di ottobre, a Gesico, il mio paese d'origine, si festeggia la festa di Sant'Amatore, un misto di sacro e profano in cui, negli ultimi anni ha preso corpo soprattutto la sagra della lumaca (siamo ora alla XXIV edizione!).
In questo breve articolo però vi voglio parlare di una cosa che non è più presente.
Anni addietro si aggirava per le strade di Gesico, nei giorni di festa, un vecchietto, con una cassettina in legno appesa al collo, piena di libretti di poesie in sardo.
Non so come si chiamasse, ma quando riuscivo gli compravo sempre qualche libretto, un po per curiosità, un po perchè mi piace leggere le poesie in sardo, anche se non sempre sono in grado di capire tutto al volo.
I poeti infatti non usavano sempre la lingua della mia zona, il campidanese. Talvolta le poesie sono scritte in logudorese, ma più spesso vengono usate parole di tutti i dialetti.
Il risultato di questi miei acquisti è un settore della mia libreria, in cui si trovano una ventina di libretti che di tanto in tanto sfoglio con curiosità, sperando prima o poi che qualcuno torni a passare per la festa di Sant'Amatore a vendere le opere di poesia sarda.
Forse sono solo un illuso, forse un giorno quel venditore di libretti di poesia sarda sarò io, chissà!
Per tornare ai nostri giorni, la settimana scorsa ho riletto un libretto di Giuseppe Pirastru, con alcune poesie sarde scritte all'inizio del 1900 e diffuse da Antonio Cuccu.
Ora, pensi sia importante che qualcuno si prenda la briga di continuare l'opera di Antonio Cuccu e diffondere la cultura sarda per cui ho pensato di pubblicare sul mio blog la poesia e la sua traduzione in italiano.
Non tutto sarà corretto, immagino, per cui alcune parti saranno in giallo e spero che qualche lettore possa aiutarmi a migliorare la traduzione.
Ma basta con le parole e diamo inizio all'opera.

Il poeta Pirastru di Ozieri descrive le testuali parole del siniscolese prigioniero di Guerra (immagino ci si riferisca alla prima guerra mondiale).

1. Carissimos parentes
como chi so torradu
A Siniscola a ue non creia.
A inue dolentes
Bos aia lassadu
Dai cando a soldadu andadu via
Como chi in domo sò
notizias bos dò
de sa disventurada vida mia
e de cantu suffresi
Dai s'ora chi prisoneri istesi.

1. Carissimi parenti,
visto che sono tornato
a Siniscola, cosa che non credevo più possibile,

dove, disperati, vi avevo lasciati
da quando ero andato via, soldato,
Visto che a casa ora stò
qualche notizia vi dò
della sventurata vita mia
e di quanto soffrii
dal momento che fui preso prigioniero.

2. Minde leo mastrattu
candu bi cunsidero
Ch'instat su coro meu fini vini
Presoneri mi han fattu
sutta a Monte Nero
su vintisese de santu aini
Istemus disarmados
non parian soldados
ma pius de demonios non fini
Sos chi nos disarmesini
Miraculu chi a bida nos lasseini.

2. Mi sento distrutto (?)
quando considero
.............. ........ ......
Prigioniero mi hanno fatto
sotto Monte Nero
il ventisei di  ottobre
venimmo disarmati
non sembravano soldati
................................
coloro che ci disarmarono
è un miracolo se ci lasciarono in vita.


3. Sempre gitt'impremidu,
in coro e in sa mente
su die sette e millenoighentos
Su ch'ap'Eo suffridu
L'ischit s'Onnipotente
Attere non los cre cussos turmentos
Sidis de agonia,
famini Gesù Maria
pro me no esistiad'alimentos
Ne perunu consolu,
M'alimentao de piantu solu.

3. Per sempre mi resterà impresso,
nel cuore e nella mente,
il millenovecento diciassette
quanto ho sofferto
lo sa l'Onnipotente
altri non potrebbero credere a quei tormenti
sete di agonia,
fame, Gesù e Maria,
per me non esisteva cibo
ne alcuna consolazione,
mi alimentavo di solo pianto.

4. Appenas disarmados,
nos lein sas provistas
chi gighiamus a nos manigare.
Che canes airados
cussas figuras tristas
Intran sa cosa nostra a divorare
Gridende avanti avanti
No si ponen innanti
e guai nessunu a si ostare
Su chi si asatiada,
Sa morte a oios subitu s'aiada.

4. non appena ci disarmarono,
ci levarono le provviste
che portavamo per mangiare
come cani furiosi
quelle figure tristi (?)
cominciarono a divorare le nostre cose
gridando: avanti, avanti
ci mettono davanti (?)
e guai se qualcuno si ferma
colui che si fermava
in un attimo veniva raggiunto dalla morte.


5. Intramus a marciare,
asciutos e ispintos
pro arrivare a su nostru destinu.
Pro poder manigare,
non bidemus custrintos
A pascher s'erva che paru erveghinu
Ei cussos vigliaccos
idendenos istraccos
E cantos nde occhiana in caminu
O a bastones viles?
O a ispunzonadas de fusiles.

5. Cominciammo a marciare
asciutti (?) e costretti
per raggiungere la nostra destinazione (?)
Per poter mangiare
ci vedemmo costretti
a pascolare l'erba come fossimo agnelli
E quei vigliacchi
vedendoci stanchi
quanti ne uccidevano per strada
o bastonavano, vili?
o pungolavano coi fucili.

6. Istemus caminende,
bindighi zorronadas
Sempre a pe ite pena ite turmentu
Su ch'idian pasende,
bi fin sas bastonadas
Subra sas palas nostras a mamentu
E nois affriggidos
istraccos e famidos
E mazzados e sempre in pattimentu
Chi mancu minutu,
Fit mai de piangher s'ojju asciuttu.

6. Camminammo,
per venti giorni
sempre a piedi, che pena, che tormento
ciò che stavamo passando,
vi erano le bastonate (a ricordarlo)
sulle nostre spalle ..........
E noi (poveri) afflitti
stanchi e affamati
bastonati e sempre doloranti (?)
che neppure per un minuto
fu mai l'occhio asciugato dal pianto.

7. Finalmente a Germania
Eo so arrividu
Cun sos cumpagnos mios pianghende
Sa morte momentania
pro cument'hamus bidu
Istaiamus tottu disizzende
No esistiat pane,
E ne s'agattat cane
De cantos nd'had'in su mundu esistende
Ch'happat mai pattidu,
cant'app'eo in Germania suffridu!

7. Infine, in Germania
io sono arrivato
con i miei compagni, piangendo,
La morte istantanea
per quello che avevamo visto (?)
tutti stavano desiderando.
Non esisteva pane,
e non si trova cane
tra quanti ve ne sono al mondo
che abbia mai patito
quanto abbia sofferto io in Germania! 

8. Arriv'a Baviera,
Ma isfattu e confusu
A Melbu campu de cuncentramentu
Peus se in galera,
tres meses rinchiusu
M'ana mantesu e cun pagu alimentu
E d'ogni die haia
tres unzas de pan'ibbia
Però nieddu chei su turmentu
E una sola trudda,
de raba arribisale atteru nudda.

8. Arrivai in Baviera,
disfatto e confuso,
a Melbu, nel campo di concentramento
peggio della galera,
tre mesi rinchiuso
mi hanno mantenuto e con poco cipo
e ogni giorno vi erano
tre once di pane......... (?)
però di quello nero come il tormento
e una sola ciotola,
di rape in umido (?) e null'altro.

9. Anzis no raba, pero
Fi brou tottugantu
De raba paga e nudda bind'aiada
A sas otto ogni sero
su suspiradu tantu
Rangiu famosu dadu nes beniada
Cun abbundante sale
chi mancu s'animale
De logu nostru assazare nde diada
E deo suspirende,
Paria cordiales manighende.

9. Anzi, non di rape, ma
si trattava di brodo (?)
di rape poco o niente ve n'era.
Alle otto ogni sera
il tanto sospirato
rancio famoso, ci veniva distribuito
molto salato
che neppure gli animali
delle nostre parti avrebbero assaggiato
E io sospirando
sembravo ........... mangiando (?).

10. E senza cussu fia,
in tott'isculz'e nudu
E tres meses che intro e presone
trattu trattu idia
nende chi fit saladu
Chi mi faghian un'inizione
No mi reia in pese
prima de unu mese
Gighia punta tottu sa persone
Fia tottu dolente,
No mi podia mover pro niente.

10. ..........................................
completamente scalzo (?) e nudo
per tre mesi dentro la prigione
ogni tanto
dicendo che era salato (?)
..... mi facevano un'iniezione
non mi reggevo in piedi
prima di un mese
avevo tutto il corpo punto
ed ero tutto dolorante,
non riuscivo a muovermi per niente.

11. E pro nos ristorare
Cussos canes limbriscosos
Nos forzaian quasi onzi die
in s'ierru a intrare
tott'in sos bagnos friscos
chi bind'haiat de morre inie
Eo ponia mente,
si no subitamente
In d'una zella ponian a mie e a dogni punidu
Sessant'oras ne manigu ne bidu!

11. E per farci rinvigorire,
quei cani.............
ci costringevano, quasi ogni giorno
in inverno, ad entrare
tutti nei bagni freddi
che c'era da morirne dentro.
Io ubbidivo,
altrimenti, immediatamente
mi avrebbero messo in cella
come ad ogni punito,
per sessanta ore senza mangiare ne bere!

12. Nos ponian in rangu
Ite duru martoriu
Chi non si podet crer pro lu contare
Duos palmos de fangu
B'ad'in s'ambulatoriu
Inue nos faghian ispozare
Su chi no s'ispozzada
bi fit sa bastonada
A conca e lu faghian istrasciare
E cantos disgrasciados!
Sun'inie cadaveres restados.

12. Ci mettevano in fila (?),
che duro martirio,
che a raccontarlo non lo credereste mai possibile
Due palmi di fango
vi erano nell'ambulatorio
dove ci facevano spogliare.
E chi non si spogliava
riceveva una bastonata
in testa che lo faceva strisciare a terra (?)
E quanti, disgraziati!
là sono restati, cadaveri.

13. Cussa razza maligna
Causadu a terrore
Disisperazione e ispaventos
Cando dae Sardigna
sos nostros genitores (s)
Paccos nos mandaiana de alimentos
Appenas los rezziana
si los manigaiana
A faccia nostra allegros e cuntentos
Poi cussos vigliaccos,
Nollos daian bodios sos paccos.

13. Quella razza maligna
.............................
disperazione e spavento
quando dalla Sardegna
i nostri genitori
pacchi di cibo ci mandavano
appena li ricevevano
se li mangiavano
alla faccia nostra, allegri e contenti.
Poi, quei vigliacchi
ci davano, vuoti, i pacchi.

14. No lù pot'ispricare
su ch'apo 'eo suffridu
in battordighi meses derdiciadu
Nè mi chelz'ammentare
De cant'apo patidu
Siat s'Ente Supremu laudadu
Pro miraculu solu,
tent'hapo su consolu
A Siniscola de nd'esser torradu
Coment'haia in brama,
Abbrazzare parentes babbu e mama.

Non posso spiegare
ciò che ho sofferto
in quattordici mesi .........
nè desidero ricordare
ciò che ho patito.
Sia lodato l'Ente supremo (Dio)
per il solo miracolo,
che ho la consolazione (?)
di esser tornato a Siniscola.

Finisce la poesia con la firma del poeta, Giuseppe Pirastru, poeta di Ozieri.

Aggiungo solo che a Monte Nero, nel 1917, il 26 ottobre, c'è stata una delle più grandi battaglie della prima guerra mondiale, la battaglia di Caporetto, che non penso di dover spiegare qui, ritenendola nota a tutti!
Il protagonista è uno degli sfortunati uomini che finirono prigionieri, dimenticati da tutti.
Giuseppe Pirastru da Ozieri ce lo riporta in mente, seppur senza nome, un soldato sardo di Siniscola, uno dei fortunati che, finita la guerra, riesce a tornare a casa. 
Chiedo agli amici e conoscenti della lingua sarda la cortesia di aiutarmi a completare la traduzione.


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO